Toscana. La relazione sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Dia

NewTuscia – Firenze -In provincia di Pistoia, in particolare nell’area di Montecatini, “non è esclusa la presenza di soggetti collegati a clan campani (ad esempio decreto di confisca disposto il 22 ottobre 2019 dal Tribunale di Prato, eseguito dalla Dia nelle province di Prato e Pistoia, nei confronti di un soggetto legato al clan camorristico Birra-Iacomino). E Nel semestre in esame, un provvedimento ablativo definitivo ha confermato la presenza di soggetti ed interessi riferibili alla ‘ndrangheta”.

E’ quanto si legge nella “Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Dia” nel secondo semestre del 2019.

E tra le inchieste che emergono nella relazione della Direzione investigativa antimafia c’è quella del 3 luglio 2019: la confisca, ordinata dal Tribunale di Firenze, di case, terreni, e società per un valore complessivo di 1,9 milioni di euro, riconducibili ad un commercialista pistoiese, radiato dall’albo, originario della provincia di Reggio Calabria, arrestato nel maggio 2018 nell’ambito dell’inchiesta “Amici miei” di Guardia di Finanza e Carabinieri.

Nei confronti del pregiudicato il Tribunale ha disposto anche la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per tre anni. In particolare l’indagine del 2018 aveva fatto emergere l’esistenza in territorio toscano di un’associazione finalizzata ad una serie di reati quali l’auto-riciclaggio, la bancarotta fraudolenta, la truffa in danno dello Stato, l’intestazione fittizia di beni, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, l’evasione d’imposta e la falsa fatturazione, nonché l’usura e l’estorsione.

Sono state complessivamente denunciate 163 persone, tra cui imprenditori, commercialisti e numerosi personaggi contigui alla criminalità organizzata calabrese.

Di particolare rilevanza – si legge ancora nel rapporto della Dia – appare anche il fermo operato il 29 novembre 2019, dalla Guardia di finanza, nei confronti di sei persone ritenute contigue al clan Bellocco, responsabili di coltivazione illecita di sostanza stupefacente. La misura costituisce la fase finale dell’operazione “L’erba di Grace”1623 che, nel 2017, aveva portato al sequestro, in un vivaio di Pistoia, della più grande coltivazione di marijuana mai scoperta in Toscana, con 3.185 piante equivalenti a oltre 350.000 dosi di stupefacente.

In Toscana, da una prima analisi dei sequestri dell’antimafia nel secondo semestre dai Prefetti toscani, sono risultate maggiormente esposte agli interessi delle mafie “le aziende operanti nei settori della ristorazione, delle attività ricettive, del commercio e dei servizi”, per legami con la criminalità organizzata campana, calabrese e siciliana.

Dai dati aggiornati al 24 marzo 2020 – si legge nella relazione della Dia – sono in corso le procedure per la gestione di ben 374 immobili confiscati, mentre altri 135 sono già stati destinati.

Risultano, inoltre in corso le procedure per la gestione di 44 aziende, mentre 11 sono state già destinate. Alberghi, ristoranti, attività immobiliari, commercio all’ingrosso, costruzioni, attività manifatturiere ed edili, terreni agricoli, appartamenti, ville, fabbricati industriali, negozi, sono solo alcune tra le tipologie di beni sottratti alle mafie in Toscana, concentrati, seguendo un ordine quantitativo decrescente, nelle province di Lucca, Firenze, Arezzo, Pisa, Livorno, Pistoia, Prato, Massa Carrara, Siena e Grosseto.

Per quanto riguarda gli stranieri, “risultano operativi elementi riconducibili ad organizzazioni criminali di origine nigeriana nello sfruttamento della prostituzione e nello spaccio di sostanze stupefacenti. Emergono, inoltre, propaggini degli interessi della criminalità cinese, specie nel settore tessile” si legge nella relazione.

La ‘ndrangheta
Per quanto riguarda la ‘ndrangheta in Toscana “non risultano attivi locali, espressivi di un radicamento territoriale consolidato. Emergono, invece, presenze di esponenti delle ‘ndrine, che potrebbero rappresentare cellule primarie con legami di sangue tra i componenti e costituite, quindi, dalla famiglia naturale del capo-bastone, cui se ne aggregano altre” continua ancora la relazione.

Queste operano, conformemente alle consolidate strategie della mafia calabrese, mantenendo il centro nevralgico in Calabria, ma svolgendo molte attività criminose – si legge ancora – specie quelle connesse al reimpiego di capitali, attraverso una costante opera di proiezione fuori dall’area di origine, confondendosi nelle realtà locali dove costituiscono strutture periferiche dotate di un limitato autogoverno.

“Il livello di diffusione degli interessi della ‘ndrangheta nel tessuto socio-economico toscano, emerso dagli esiti info-investigativi, tende a far ritenere la criminalità organizzata calabrese, al momento, quella più diffusa nella Regione. Un territorio in cui appare attrattivo per le mafie anche per i tradizionali intenti criminali, come il traffico di droga, l’usura, le estorsioni e il riciclaggio. E proprio nel riciclaggio, abbinato a tentativi di infiltrazione dell’economia legale, i sodalizi calabresi in Toscana hanno confermato la tendenza a diversificare gli investimenti, rafforzando la propria presenza”.

Cosa nostra.

La riscontrata presenza nello scenario criminale toscano di soggetti affiliati o comunque ritenuti vicini ad organizzazioni criminali di matrice siciliana, in particolare Cosa nostra, “non si fonda sul canonico controllo del territorio, bensì su forme e tentativi di infiltrazione nell’economia e nella finanza locali e di condizionamento dell’azione pubblica, funzionali soprattutto al controllo degli appalti”.

Dedita prevalentemente al reinvestimento di capitali illeciti, “la criminalità siciliana si avvale anche di figure professionali dotate di competenze specifiche in materia tributaria, finanziaria e fiscale. Significativi elementi al riguardo sono emersi negli esiti dell’operazione “Golden wood”, eseguita dalla Guardia di finanza a Prato all’inizio del 2020, nell’ambito della quale sono stati tratti in arresto 12 persone (7 delle quali residenti in provincia di Palermo) ritenute responsabili di associazione finalizzata ad una serie di reati di riciclaggio, auto-riciclaggio, emissione di fatture per operazioni inesistenti, intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti ed altro, molti dei quali aggravati dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa denominata cosa nostra”.

Camorra.
La camorra, in Toscana, mantiene un profilo basso “evitando azioni criminose eclatanti, tali da attirare l’attenzione degli inquirenti. Infatti, al di là dei risultati investigativi e giudiziari riferibili al semestre in esame, sembra che anche i clan di camorra stiano facendo ricorso a più sofisticate modalità di infiltrazione, mettendo a disposizione delle aziende in crisi il proprio supporto (finanziamenti, manodopera in nero, forniture di materie prime), mirando, in definitiva, a fagocitare attività imprenditoriali o rami dell’economia locale nella propria sfera criminale” continua la relazione della Dia.

La pressione estorsiva resta, comunque, uno degli strumenti essenziali attraverso cui i sodalizi campani esprimono la propria forza, accrescono il proprio potere e reperiscono le risorse per gli investimenti nei settori turistici e dei locali pubblici.

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