L’assalto a Capitol Hill: la notte più buia della democrazia

NewTuscia Toscana – Nella serata di ieri 6 gennaio 2021 (tra le 21:00 e le 22:00 italiane), una folla di sostenitori di Donald Trump ha preso d’assalto Capitol Hill, il Campidoglio, durante la ratifica del passaggio di consegne a Joe Biden, il presidente eletto nelle ultime elezioni del 3 novembre. A causa di questo vero e proprio assedio, la celebrazione si è interrotta, e la polizia ha barricato le porte, mettendo di fatto il lockdown l’edificio nel tentativo di proteggere i parlamentari. Ma nulla è bastato, non gli avvertimenti della polizia, non le sottili barricate, per impedire alla folla in tumulto di irrompere nel cuore della politica americana. Solo l’intervento della Guardia Nazionale (chiamata dal vicepresidente Mike Pence, temendo per la propria incolumità) ha impedito che il peggio potesse verificarsi.

Alla fine, dopo ore di scontri, tafferugli, atti di vandalismo e selfie compiaciuti dei teppisti accanto agli scranni dei parlamentari occupati e semi divelti, l’occupazione tutt’altro che pacifica del Campidoglio ha avuto fine. Ma il bilancio di quanto avvenuto rimane drammaticamente grave, e non solo perché si registrano almeno quattro morti ed un numero imprecisato di feriti.

L’aspetto più grave, quasi inedito nella storia democratica statunitense, è l’evidente e deliberato attentato alle fondamenta della democrazia.
Quello che è successo ieri non è stato un atto estemporaneo o imprevedibile, è anzi stato reso possibile da mesi e mesi di propaganda attentamente studiata e oculatamente indirizzata, con la connivenza di una classe dirigente su più fronti inadeguata, incapace non solo di rispondere, ma persino di difendersi. L’attacco materiale ai luoghi dove la democrazia fa il suo corso, dove il dialogo regna sovrano, la distruzione e la violazione di quelle aule che sono fra i più sacri simboli della politica, sono stati causati dalla propaganda di Donald Trump. E’ stata la sua scommessa politica fin dal principio: sovvertire lo status quo con un approccio spregiudicato, infischiandosene di regole, principi e norme. A Donald Trump è basto investire il suo capitale in paura, disagio, ignoranza, confusione per alimentare la più grande rivoluzione politica e sociale dai tempi dei grandi e oscuri -ismi del Novecento: con ieri sera, Trump ha dimostrato a coloro che eventualmente non se ne fossero ancora resi conto, che quei valori che un tempo tenevano uniti gli uomini e le donne all’interno di schemi di ragionamento comuni e razionali, si sono da tempo sciolti come neve al sole. Si sono sfaldate quelle fondamenta che in molti credevano eterne: i valori dell’illuminismo, della rivoluzione scientifica, la fiducia in un patto sociale fra governanti e governati per una società emancipata da oscurantismo e dogmatismo, che prosperasse nel segno dell’equità e di valori condivisi, ricostruiti faticosamente sulle macerie e sui cadaveri delle grandi tragedie novecentesche.

Il trumpismo rappresenta il successo più evidente di nuove categorie epistemologiche assolutamente inedite per la forza con cui sono state imposte: il continuo ricorso a fake news in modo consapevole, l’offesa, la prevaricazione e l’arroganza come metodi sistematici di (non) relazione, la squalificazione dell’impresa scientifica nel suo senso più profondo e generale.
Donald Trump ha dimostrato che la democrazia come la abbiamo studiata e conosciuta, è morta. Al suo posto è nata una nuova forma di populismo violento e anti-democratico, iper-individualista e ottuso, che rifiuta il mondo per affermarne uno proprio, dove valgono regole altre rispetto alla realtà condivisa. Non è un caso che uno dei più grandi araldi di questa nuova religione sia QAnon, una setta di invasati e zeloti che innerva la propaganda trumpiana di assurdità e follie di ogni genere, e che tuttavia sta riscuotendo sempre più seguito, anche in Europa. Teorie come quelle sul “Deep State” riguardo un’unione pedofila delle élite globaliste che vedrebbe tra i suoi protagonisti il Partito Democratico e Hollywood sono diventate in pochissimo tempo principale nucleo d’informazione della galassia mediatica trumpiana, e dallo stesso staff dell’ex Presidente discutibili fonti di questo tipo sarebbero state legittimate e talvolta ritwittate.

Così molte volte nei mesi precedenti alle elezioni già si era preparato a delegittimare il risultato delle urne, a tenere pronte le schiere dei suoi fedeli nonostante le proteste e le richieste da parte di molti di intervenire per placare la violenza nelle strade americane. Tutto ciò che Trump è riuscito a dire di conciliatorio è stato: “stand back, stand by”. Non propriamente un invito alla pacificazione, piuttosto un chiaro messaggio al tenersi pronti. Questa è una dichiarazione rilasciata durante il primo dibattito con l’avversario Joe Biden, nell’avvicinamento alle elezioni di novembre. Ma interventi di questo tenore sono stati numerosi e hanno sempre costellato l’intera presidenza di “The Donald”. Quando gli fu chiesto se avrebbe accettato una transizione regolare e pacifica dei poteri, rispose pubblicamente: “Non lo so, devo vedere che succede.”

In ultimo proprio ieri, circa un’ora prima dell’assalto a Capitol Hill, Trump aveva apertamente invitato i suoi sostenitori a tenere duro: “Non ci arrendiamo, non concederemo mai la vittoria” e aveva continuato: “Andremo al Campidoglio e faremo il tifo per i nostri senatori e membri del Congresso, ma probabilmente non saremo così gentili con alcuni di loro.”
Si capisce quindi come il trumpismo sia un’ideologia profonda e inquietante, figlia del nostro tempo e contro la quale la democrazia è parsa inerme; se saprà riprendersi da questo shock, da questo stato catatonico, lo vedremo.

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